Nel diritto civile la responsabilità è oggettiva quando prescinde dall’elemento soggettivo dell’agente in deroga al generale principio del “neminem laedere” che regola la responsabilità extracontrattuale. Soffermandosi anche su esempi pratici vediamo di chiarire questa fattispecie.
La responsabilità oggettiva
I criteri di imputazione della responsabilità che prescindono dalla colpa trovano riscontro già nella disciplina del codice civile, dove accanto all’articolo 2043 c.c. troviamo numerose fattispecie che esulano dall’elemento soggetti vuoi prescindendo dalla colpa o presumendola. La responsabilità oggettiva si fonda sul rapporto di causalità; la prova liberatoria consiste nella prova che il danno è stato causato da un fattore causale estraneo alla sfera del danneggiante che ha interrotto il nesso di causalità tra l’evento e il danno.
Questa responsabilità oggettiva, qualificata anche “responsabilità da rischio lecito”, non costituisce una categoria generale da giustapporre all’art. 2043 c.c.
Un’importante e distintiva caratteristica della responsabilità oggettiva si ha in tema di onere della prova: la responsabilità extracontrattuale (normale) viene meno se l’autore del fatto illecito fornisce la prova dell’assenza di sua colpa, quella oggettiva solo se si prova che il danno è dovuto ad un evento fortuito imprevedibile ed inevitabile.
Secondo Galgano, l’espansione dell’area della responsabilità oggettiva si collega allo sviluppo della civiltà industriale, nella quale si utilizzano “mezzi di produzione o di vita che sono di per sé fonti di pericolo, per le persone e le cose, e di un pericolo che è socialmente accettato come un componente ineliminabile della nostra civiltà”.
I casi più rilevanti di responsabilità oggettiva sono:
- art. 2047 – Responsabilità per danni cagionati da un incapace
- art. 2048 – Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori, e dei maestri d’arte
- art. 2049 – Responsabilità dei padroni e dei committenti
- art. 2050 – Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose
- art. 2051 – Danni cagionati da cose in custodia
- art. 2052 – Danni cagionati da animali
- art. 2053 – Danni cagionati dalla rovina degli edifici
- art. 2054 – Danni cagionati dalla circolazione di veicoli
In queste ipotesi, quindi la responsabilità del soggetto custode, del genitore, del maestro, ecc. è presunta ed oggettiva salvo che quest’ultimo – il soggetto che aveva “un concreto potere di vigilanza sulla cosa” – dimostri di aver fatto tutto il possibile per evitare il verificarsi del danno, ovvero che si sia integrata l’ipotesi del c.d. caso fortuito.
Responsabilità per i danni cagionati dall’incapace (art. 2047 c.c.)
La prima fattispecie di responsabilità priva dell’elemento soggettivo che incontriamo nel codice civile è relativa all’incapace ed ai danni da lui prodotti, il risarcimento al danneggiato sarà dovuto dal soggetto responsabile che è tenuto alla sorveglianza. La prova liberatoria, in questo caso, consiste nell’aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento dannoso.
Secondo l’opinione tradizionale (De Cupis, Corsaro) la norma contempla un caso di responsabilità per colpa e precisamente per colpa in vigilando; la colpa, in tal caso, sarebbe presunta, dato che l’onere della prova spetta al sorvegliante (il quale deve provare di non aver potuto impedire il fatto). Inoltre, si tratterebbe di responsabilità per fatto proprio (l’omessa vigilanza), e non per fatto altrui.
Secondo altra parte della dottrina (Franzoni) tale norma contempla un caso di responsabilità indiretta, cioè per fatto altrui, e di tipo oggettivo. Infatti, provare di non aver potuto impedire il fatto significa essere ammessi a provare solo la mancanza del nesso causale; significa, in altre parole, essere ammessi a provare (non la propria mancanza di colpa, ma) il fatto positivo da cui l’evento dannoso è derivato. Se il danneggiato non ha ottenuto il risarcimento dal soggetto responsabile, il giudice può condannare l’incapace ad un’equa indennità.
Responsabilità dei genitori e insegnanti (art. 2048 c.c.)
L’articolo 2048 c.c. prevede un’ipotesi speciale di responsabilità in capo ai genitori, responsabili del danno cagionato dai propri figli ed in capo agli insegnanti; in questo caso si tratta di una forma di responsabilità diretta, per fatto proprio, per non aver, con idoneo comportamento, impedito il fatto dannoso ed è fondata sulla loro colpa che viene presunta.
I destinatari della norma, per la giurisprudenza consolidata, superano la presunzione di colpevolezza, non con la prova negativa dimostrando di non aver potuto impedire il fatto ma con una prova positiva, introdotta dal diritto vivente, di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata.
Responsabilità per il fatto degli ausiliari (art. 2049 c.c.)
L’articolo 2049, con formula antica risalente all’articolo 1385 del Code Napoleon e usando espressioni non del tutto precise, stabilisce che i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti. La norma si riferisce impropriamente ai padroni e committenti e ai domestici e commessi; in realtà essa si applica ad ogni caso in cui esista un rapporto di preposizione e non solo ai rapporti contrattuali tipici.
La giurisprudenza ha affermato la necessità di un nesso di occasionalità necessaria tra esercizio delle incombenze e danno al terzo, a titolo esemplificativo il muratore che, lavorando su una impalcatura, faccia cadere la cazzuola e ferisca un passante, del fatto risponde l’imprenditore edile dal quale il muratore dipende.
La responsabilità dei padroni e dei committenti non ammette prova liberatoria e in materia è intervenuta anche, di recente, la Suprema Corte ritenendo addirittura responsabile la banca nei confronti della clientela a fronte della trattenuta di somme di denaro dei clienti stessi da parte del bancario addetto allo sportello.
Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose (art. 2050 c.c.)
L’articolo 2050 c.c. recita che “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”.
Con “attività pericolose” la giurisprudenza praticamente unanime intende, in modo piuttosto ampio, non solo quelle qualificate pericolose dal Testo Unico di Pubblica Sicurezza o da altre leggi speciali, ma più in generale anche quelle che comportano la rilevante possibilità del verificarsi del danno, per la loro stessa natura e per le caratteristiche dei messi usati, la cui suddetta oggettiva pericolosità ha una potenzialità lesiva, rilevabile attraverso dati statistici, elementi tecnici e di comune, esperienza notevolmente superiore al normale.
La presunzione di responsabilità a carico di chi esercita una attività pericolosa opera anche nei confronti della P.A. e degli enti pubblici. Se l’attività pericolosa è esercitata da un ente collettivo, la presunzione investe anche la persona fisica che materialmente la svolge.
Presupposto ineliminabile è l’accertamento del nesso causale tra l’attività pericolosa ed il danno subito, la cui prova è a carico del danneggiato, non potendo essere attribuito al soggetto agente un evento ad esso non riconducibile: deve in sostanza esistere una relazione diretta tra danno e rischio specifico dell’attività pericolosa o dei mezzi adoperati, viceversa, il danno cagionato può essere riconosciuto solo in base al criterio generale dell’art. 2043 c.c., sempre ne ricorrano i presupposti di applicazione.
Il nesso causale può venire a mancare sia per il fatto del terzo, quando la condotta di quest’ultimo sia la causa esclusiva e determinante del danno, come dello stesso danneggiato, qualora per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attività pericolosa e l’evento, o emerga che il danneggiato si sia posto in una non corretta relazione con la situazione di pericolo, creando egli stesso le condizioni per non poterla, in seguito, evitare.
L’effetto liberatorio non si verificherà quando il fatto del terzo o del danneggiato costituisce elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l’insorgenza a causa della inidoneità delle misure preventive adottate. In particolare, nell’ipotesi in cui sia nota la causa dell’evento dannoso, la responsabilità ex art. 2050 c.c. va affermata ove risulti non interrotto il nesso di causalità con l’esercizio dell’attività pericolosa, mentre va esclusa ove sussista incertezza sul fattore causale e sulla riconducibilità del fatto all’esercente.
Responsabilità per danni cagionati da cose in custodia (art. 2051 c.c.)
L’articolo 2051 c.c. prevede che “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito” (si pensi, ad es., ai danni causati dall’incendio di un deposito di benzina o alla responsabilità del proprietario di un fondo dal quale si propaga un incendio che si diffonde nel fondo limitrofo, invadendolo. Cass. 17471/2007).
Pone in capo al custode, ovvero colui che ha il governo della res, l’obbligo di risarcire i danni causati a terzi dalla cosa custodita, salvo il caso fortuito. La giurisprudenza maggioritaria qualifica tale responsabilità come oggettiva, ovvero fondata sul positivo riscontro del solo nesso di causalità tra la cosa e l’evento dannoso
Il primo presupposto è che il danno sia causato dalla cosa; il secondo richiede che con la cosa vi sia un rapporto di custodi, che implica un potere di controllare e governare la cosa prevenendo eventuali rischi di danno.
Un’ipotesi di frequente applicazione dell’art. 2051 c.c. è quella dei danni da insidia stradale, causati cioè da un pericolo occulto (insidia o trabocchetto), non visibile e non prevedibile. Tali danni sono risarcibili dall’ente proprietario (o gestore) della strada ai sensi dell’art. 2051 c.c., in virtù dei poteri effettivi di disponibilità e di controllo della strada che fanno capo all’ente, a meno che fornisca la prova del caso fortuito (Cass. 2-2-2007, n. 2308). Qualora non sia applicabile l’art. 2051 c.c., in quanto è impossibile esercitare un controllo continuo ed efficace e una costante vigilanza sul bene (per la sua notevole estensione, per l’uso generalizzato da parte degli utenti etc.), non potrà invocarsi alcuna responsabilità della p.a., proprietaria del bene demaniale, a norma dell’art. 2051 c.c., per mancanza di un elemento costitutivo della custodia, e cioè la controllabilità della cosa; si applicherà, invece, se ne ricorrono gli estremi, la responsabilità di cui all’art. 2043 c.c.
Responsabilità per danni cagionati da animali (art. 2052 c.c.)
Secondo il suindicato articolo il proprietario o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito. La norma è spesso accomunata alla responsabilità da cose in custodia per presupposti e caratteri, oltre che per natura giuridica.
Identici sono infatti l’onere della prova e i presupposti delle due norme: in entrambi i casi, infatti, rileva l’esistenza di un rapporto di custodia, con la differenza che nel primo la custodia riguarda res inanimate e nel secondo animali. Lo possiamo definire come “una dimostrata alterazione repentina della res, riconducibile ad un elemento esterno”.
A titolo esemplificativo poniamo il caso di:
“Tizio proprietario di REX, pastore tedesco di grossa taglia. Questi porta Rex al parco e lo tiene a guinzaglio, composto da una spessa corda, e ha regolarmente legato la museruola al cane. Improvvisamente, mentre camminavano nel parco, REX dà un forte strattone al guinzaglio, Tizio cade perdendo la presa del guinzaglio, il cane si libera della museruola e morde Caietto che giocava con la palla in mezzo al parco. Sulla base di questo esempio possiamo dire che in generale Tizio risponde dei danni provocati dal proprio cane, tuttavia nel caso di specie aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno tenendolo a guinzaglio e avendogli messo la museruola; il fatto che il cane lo abbia strattonato, fatto cadere a terra, e che lo stesso animale si sia riuscito a levare la museruola è un fatto imprevisto e imprevedibile che non si sarebbe mai potuto evitare (appunto il caso fortuito). Per tale motivo Tizio, proprietario di REX, è liberato dalla responsabilità e dal conseguente onere risarcitorio”.
Si discute se la norma contempli un caso di responsabilità oggettiva, o un caso di responsabilità per colpa (sia pure presunta). Secondo la tesi prevalente, invece, si tratterebbe di un caso di responsabilità oggettiva; provando il caso fortuito, infatti, il soggetto non è ammesso a provare la sua mancanza di colpa, ma l’insussistenza del nesso causale. Per convincersi di ciò, è sufficiente por mente da una parte al fatto che il responsabile, potendo provare solo ed unicamente, positivamente, il caso fortuito, non è liberato anche se prova di aver custodito l’animale con la massima diligenza possibile; d’altra parte, il soggetto potrebbe provare il fatto fortuito (ed essere liberato) ma non necessariamente essere esente da colpa. Il caso fortuito, insomma, incide sul nesso causale, e dunque sull’elemento oggettivo del fatto, non sull’elemento soggettivo.
Responsabilità per danni cagionati dalla rovina degli edifici (art. 2053 c.c.)
In primo luogo il legislatore ha identificato nella cosa che provoca il danno una qualsiasi “costruzione”. Non solo gli edifici, quindi, ma anche i ponti, i muri, le baracche e così via. L’art. 2053 si riferisce alla “rovina” che può essere totale, o anche parziale, come quando vi sia la caduta di calcinacci da un edificio; si discute, invece, se possano rientrare nella ipotesi dell’art. 2053 i guasti e i malfunzionamenti della costruzione, come potrebbe accadere per danni cagionati dall’impianto elettrico o dalla caduta o malfunzionamento dell’ascensore. Per quest’ultima eventualità, però, rimane pur sempre applicabile, nel caso in cui si ritenesse esclusa la norma di cui ci stiamo occupando, l’art. 2501 relativo ai danni cagionati dalle cose in custodia.
Responsabile dei danni è il proprietario, ma si ritiene che la responsabilità possa essere estesa cumulativamente anche a coloro che hanno un diritto reale di godimento sul bene, mentre non vi è responsabilità per i soggetti che conducono il bene in locazione. In merito alla prova liberatoria l’art. 2053 l’ammette solo quando si dimostri che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o vizio di costruzione.
Le singole ipotesi appaiono diverse.
Nel caso di difetto di manutenzione il proprietario andrà esente da responsabilità quando proverà di aver eseguito in maniera diligente la manutenzione del bene. Si tratta, quindi, di tipica responsabilità aggravata per colpa. Diversamente accade nel secondo caso, se si verifica la rovina per difetto di costruzione, il proprietario è comunque responsabile, anche se il vizio non è dovuto a colpa del proprietario. Si tratta, quindi, di un caso di responsabilità oggettiva. L’articolo 1669 c.c. prevede pertanto un’azione di regresso del proprietario nei confronti dell’appaltatore. In ogni caso, però, si potrà evitare la responsabilità quando l’evento si verifica per caso fortuito o forza maggiore, come quando un terremoto provochi la rovina della costruzione. Se, però, la costruzione si trovava in zona sismica, si potrà evitare la responsabilità solo se si provi di aver costruito secondo la normativa antisismica.
Responsabilità per danni cagionati dalla circolazione di veicoli (art. 2054 c.c.)
L’obbligo di risarcire i danni causati dalla circolazione dei veicoli configura un tipico esempio di responsabilità extracontrattuale fondata sul principio generale del neminem laedere (art. 2043 codice civile).
Con una serie di presunzioni, i quattro commi dell’art. 2054 c.c. pongono a carico del proprietario, o eventualmente del conducente, se persona diversa dal primo, di qualunque veicolo non marciante su rotaie, la responsabilità per i danni prodotti nei confronti di cose e persone terze e trasportati nel veicolo stesso.
Si tratta di una forma di responsabilità oggettiva che, salvo prova contraria nei casi previsti dai primi tre commi dell’articolo, collega un accadimento ad un soggetto, indipendentemente dal comportamento di questi e prescindendo dagli elementi soggettivi di dolo e colpa.
Il primo comma dell’art. 2054, ad esempio, recita che il conducente è obbligato a risarcire il danno, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitarlo. L’ultima frase del periodo ammette quindi la possibilità per la parte di dimostrare non solo di aver tenuto un comportamento corretto, ma di essersi impegnato attivamente a cercare di prevenire ogni conseguenza dannosa della propria circolazione. Anche il successivo secondo comma, stabilendo che “nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli”, ammette la prova liberatoria da parte di entrambi i soggetti coinvolti, in mancanza della quale vi sarà un concorso di colpa. Il terzo comma dell’art. 2054 codice civile prevede invece l’istituto della solidarietà passiva nel risarcimento fra titolare del veicolo e conducente dello stesso, statuendo che “il proprietario del veicolo, o in sua vece l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido con il conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà”.
Occorre ribadire infine che ex art. 2947 c.c., l’azione per il risarcimento dei danni prodotti dalla circolazione dei veicoli si prescrive in 2 anni. Se però il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile. In merito alla prescrizione si è discusso a lungo su quale termine si dovesse applicare nel caso in cui pur essendo il fatto considerato reato esso sia punibile solo a querela e la querela non sia stata proposta.
La Corte di Cassazione ha più volte modificato il proprio orientamento ma le Sezioni Unite con la sentenza n. 27337/2008 hanno chiarito che se l’illecito civile è considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non è stato promosso, anche per difetto di querela, all’azione risarcitoria si applica l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato dato che il giudice, in sede civile, può accertare incidentalmente la sussistenza del reato stesso.
Per saperne di più sulla responsabilità oggettiva, ecco di seguito ecco un video realizzato sempre in collaborazione con Diritto Al Punto.